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Molto fumo e poco arrosto

Forni per pizza come centrali nucleari, recensioni fasulle e clienti ingannati, nel mondo della ristorazione il paradosso è servito.

Pizza a targhe alterne
Uno dei più grandi problemi delle grandi città di tutto il mondo, comprese quelle italiane, è lo smog, le famosi polveri sottili che quando giungono oltre una certa soglia diventano l’invisibile killer dei nostri polmoni. L’inquinamento ambientale è uno dei conti salati che l’umanità paga alla disordinata, forsennata e a volte inutile e sicuramente deleteria civiltà industriale, che a questo punto di civile non ha un bel niente. Un conto che viene rimpolpato da milioni e milioni di automobili che scaricano giornalmente nell’aria tonnellate e tonnellate di irrespirabili schifezze. A nulla servono, pare, i summit mondiali, le intese intergovernative per fermare la deriva dello smog: il mondo pare avviato a diventare una cappa asfissiante.inquinamento.jpg
Però c’è un modo per salvarlo. Meno male.
L’esempio giunge da un paesino italiano, San Vitaliano, seimila abitanti nell’hinterland di Napoli, dove dei super tecnici con apparecchiature super sofisticate, quasi fantascientifiche, hanno registrato un inquinamento tipo Shanghai. Una vera e propria cappa asfissiante che ammorba i cittadini di San Vitaliano per 149 giorni all’anno, un vero record dei veleni. Ma da dove vengono questi veleni in un paesino di qualche migliaio di abitanti? Cerca di qua, cerca di la nessuno è riuscito ad individuare la fonte dell’inquinamento, però poco alla volta, piano piano un sospetto atroce è lentamente emerso, e al colpevole è stato dato un nome: si chiama Margherita ed è una pizza. E allora per far fronte al problemone dello smog il sindaco del paese con un’ordinanza ambiental-gastronomica ha vietato la cottura e la vendita di pizze, panini, baguette, saltimbocca e panuozzi, biscotti e roccocò. Il motivo? I forni a legna accesi per troppe ore provocherebbero, a suo dire, minacciose nubi di polveri sottili nell’aria. L’ordinanza è stata precisa e ferrea, blocco totale, come il traffico a Milano nei giorni di Natale, non ha neanche preso in considerazione il fatto di provare la pizza a targhe alterne, nel senso che sarebbe stato possibile sfornare una Margherita nei giorni pari e una Capricciosa dei dispari. No. Niente pizza e basta. Cazzarola che genialata. Roba da premio Nobel. Siamo certi indiranno immediatamente una nuova conferenza sul clima mondiale per discutere e allargare a tutto il mondo questa fantastica trovata.
Già immaginiamo i titoli dei telegiornali: Niente pizza per tutti e… per sempre. Che tristezza tornare a vivere a pieni polmoni e dover rinunciare alla pizza. E allora quasi, quasi preferiamo lo smog.

 

Stellucce a pagamento
Le recensioni a pagamento per far guadagnare posizioni ai ristoranti sulle piattaforme online, con relativo beneficio in termini di business, non rappresentano una novità, purtroppo. Già alla fine del 2014 l’Antitrust aveva sanzionato Tripadvisor per una somma di euro 500.000 in seguito alle numerose segnalazioni pervenute da parte di consumatori e di proprietari di strutture turistiche, nonché dall’Unione Nazionale Consumatori e da Federalberghi che avevano evidenziato il dilagare di recensioni fasulle e quindi ingannevoli che il portale pubblicava senza adeguati controlli.recensioni.jpg
In altri termini il buon cliente, nel consultare il suo smartphone per decidere dove cenare, vedendo un bel po’ di stellucce accanto a quel tal ristorante e leggendo di seguito degli script da sogno che scatenavano la sua voglia mangereccia, e già pregustando i manicaretti si lasciava incantare e guidare dalla recensione. Salvo poi appurare che in quel tal ristorante quanto aveva letto era fittizio se non artefatto, insomma non corrispondeva al vero. Quel che gli veniva servito nulla aveva a che fare con quanto aveva letto e pregustato: però poi il conto lo pagava comunque. Che tristezza, che pena, che schifo.
Il fenomeno della falsa recensione on line non riguarda solo e soltanto ristorazione e ospitalità, anche nell’e-commerce la bugia è sempre in agguato.
Amazon, leader nel mondo per la vendita di prodotti online ha intrapreso azioni legali contro più di 1.000 persone che avrebbero pubblicato delle recensioni false a pagamento sul suo sito, poiché giustamente ritiene che la reputazione del suo marchio sia stata danneggiata da recensioni “false, ingannevoli e non autentiche” pagate da venditori per cercare di rendere più attraenti i propri prodotti. La decisione di intentare causa è arrivata dopo che ad aprile Amazon aveva denunciato alcuni siti web per la vendita di false recensioni.
Ma è solo una delle tante storiacce di imbrogli e mistificazioni.
Torniamo alla roba da mangiare e ai commenti artefatti. Chissà quanti buongustai sono stati delusi, ingannati e trombati. Ci sono state proteste, denunce, diffide. Ma invano.
La giostra delle stellucce a pagamento continua senza sosta e senza vergogna. Ad esempio non è difficile trovare degli smanettoni che si propongono per “ottimizzare il posizionamento” del tal ristorante nei siti di recensione. I tariffari sono più che abbordabili: per dieci strabilianti recensioni ci vogliono cento euro, per venti ci sta pure lo sconticino a euro 180, per trenta irresistibili oltreché farlocche recensioni bastano 240 euro.
Che tristezza, che pena, che schifo.
Con i soldi si fa tutto è vero, con i soldi si fanno le cose più incredibili, ma non puoi comprarti il cliente, perché alla prima occasione dopo averlo imbrogliato quello ti sgama e sei cancellato per sempre dalla sua lista. Ma sarebbe in fondo una pena minore. A quei furbacchioni che amano le scorciatoie piuttosto che il lavoro serio e professionale, ai quei dritti che pensano di diventare campioni del mondo acquistando la coppa, a quei lestofanti che vendono il fumo e non l’arrosto andrebbe chiuso il locale per sempre.


14/03/2016

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